Archive for Giugno, 2008

Il termine insegnante di sostegno nasconde l’incapacità dello Stato di fornire docenti specializzati

Venerdì, Giugno 20th, 2008

Nei miei molti interventi su riviste specializzate, nelle relazioni ai convegni ho sempre considerato forzatura, fuori luogo, utilizzare la terminologia «insegnante di sostegno», riferendomi al docente che propone la sua attività didattica per alunni con problemi di disabilità. La generalizzazione degli interventi sull’istruzione ed educazione di soggetti con deficit sensoriali, o fisici, o psichici che limitano od ostacolano l’approfondimento di una scolarizzazione efficace, nel nostro caso la popolazione scolastica sorda, lascia sempre  nella mente dello studioso o ricercatore un discorso inconcluso. «Il primo passo» scrive Franco Gavazzi (v. Il Corriere della sera del 15 giugno 2008.) «per una riforma della scuola è quella dell’abbandono dei concorsi pubblici… ». Occorre in pratica che le assunzioni siano decise da chi deve poi rispondere dell’operato del docente. Oggi il reclutamento, come è noto, avviene mediante l’ordine occupato in graduatoria, capita di frequente che un docente di discipline letterarie sia chiamato «a sostenere» discipline per le quali non ha titoli accademici o, al massimo, una base di studi insufficiente. Abbiamo esempi evidenti di laureati in lettere moderne sostenere ragazzi sordi del IV o V anno negli insegnamenti  di Costruzioni o Topografia negli Istituti tecnici per geometri, riducendosi di fatto a  prendere appunti delle lezioni del collega e poi passarle allo sfortunato studente. E’ imbarazzante affermare che questa sia da considerare didattica specializzata. E’ solo un’umiliante occupazione che, la disabilità di uno studente, offre ad un operatore della scuola; a perderci, peggio a vergognarsi di questo modus operandi, sono tutti  i docenti della scuola, in primis i dirigenti scolastici; allo studente problematico è negata una didattica conforme ai bisogni. Cosicché (siamo in Italia!) il docente, pur di avere un tornaconto economico, si presta ad occupare un delicato incarico per il quale non ha il titolo accademico; persino la scuola stessa – nella massima dirigenza  rappresentata dal dirigente scolastico - sa d’inviare in classe un incompetente.  Cerchiamo di essere seri: quale primario di una struttura sanitaria si farebbe carico di responsabilità allorché, per esempio, ad un oculista è messo in mano il bisturi per interventi chirurgici al di fuori del proprio settore professionale o per il quale è stato assunto? Il ministro dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, deve ripensare una scuola competente, prima di tutto negli insegnamenti qualificati, vale a dire nell’opera di fornire la prestazione didattica specializzata. Solo il dirigente scolastico, come del resto il dirigente sanitario dell’ospedale, è in grado di sapere l’ «esperto» necessario per il suo reparto per la soluzione del problema e, nel nostro caso, il docente specializzato di didattica da mettere a disposizione del sordo per favorirne il processo di apprendimento. Oggi si sprecano risorse economiche senza cavare un ragno da un buco per l’utilità dell’alunno o studente sordo (faccio riferimento a lui perché è il protagonista a cui muove la mia attenzione da sempre NdA), ma vale  anche per gli altri disabili accolti nella classe comune.  Convinciamoci che la qualità dell’integrazione passa nella corretta scelta delle capacità di chi governa l’istituzione: e questo è imprescindibile dalla frenesia di scalare la graduatoria provinciale per anzianità di servizio o per accumulo di punteggio per numerosa figliolanza, oppure aver prestato servizio in sedi disagiate. Infine solo attraverso l’autonomia della programmazione didattica (fondamentale per il disabile) scaturisce le professionalità del docente. Oggi non possiamo affermare che lo Stato fornisca docenti specializzati per la scolarità dei disabili; talvolta parlarne è un tabù, allo stesso modo di quando indichiamo la disabilità nuda e cruda con i termini sordità, cecità, eccetera. E’ molto facile nasconderci nel generico, nella terminologia «insegnante di sostegno», volutamente scordando che nessun capitano di una nave imbarcherebbe il marinaio generico o senza stabilire il ruolo di ciascuno in base alle competenze professionali. La riforma di una scuola seria passa nello studio e decentramento di una didattica predisposta su un POF con la collaborazione di una équipe sociopsicopedagogica focalizzata sul docente specializzato, a mente della disabilità dell’alunno e – per la scuola secondaria – considerando ovviamente il titolo di laurea dell’insegnante. Piuttosto che continuare a fingere su un docente “samaritano” factotum com’è quello d’oggi, un tenere alunni o studenti in classe senza fornirgli una didattica all’altezza, effettivamente specializzata, la quale obbliga il docente ad un impegno superiore rispetto al collega curriculare per il ragazzo cosiddetto normodotato.
Su questa direttiva, che dovrebbe prima di tutto essere proposta agli organi Istituzionali dall’associazione nazionale (l’ENS), si gioca la riforma della scuola a favore dei disabili e, in particolare, della formazione del docente specializzato che opererà per l’istruzione dei sordi. Sappiamo che è un compito difficile, ma non impossibile, di sicuro affascinante.

Nominazione del partito: «Lista Antonio Di Pietro» o/e «Italia dei Valori (IdV)»?

Domenica, Giugno 15th, 2008

Antonio Di Pietro aveva affermato, in un incontro nazionale,  che era giovevole spersonalizzare il partito, auspicando l’eleminazione del suo nome e cognome dalle bandiere,  gadget e manifesti eettorali. L’iscritto e il simpatizzante dovevano abituarsi a focalizzare l’occhio esclusivamente su «Italia dei Valori» e non sulla «Lista Di Pietro». Abbiamo riscontrato nell’ultima campagna elettorale  delle elezioni politiche del 2008 che c’è, in tutti i leaders, il tentativo di personalizzare il proprio partito; alla lettera imitano Luigi XIV che,  con prosopopea, affermò:  «Lo Stato sono io». Ecco che i Casini, le Santachè, i Berlusconi ecc. sovrappogono il proprio cognomme alla denominazione del partito. Non penso sia idonea scelta - per proporsi - di psicologia sociale. La personalizzazione del voto non tiene alla lunga perché genera  gli opposti: disamore o disprezzo del capo e fanatismo. Se da una  parte una percentuale di «elettori deboli» abbocca ce ne è un’altra che ne ha repulsione, distacco e fuga. L’accentramento del partito su se stessi può funzionare là dove è limitata la propaganda,  usabile nel passaparola per un popolo analfabeta, ma difficile che funzioni in una società massmediale come l’attuale. La democrazia matura non indirizza l’elettore sul leader del partito, ma su un progetto, su un obiettivo di fondo, sul programma. Nel nostro caso è bene eliminare «Lista Di Pietro» per sposare prettamente la dicitura «Italia dei valori» perché, - i valori - dell’IdV non sono gestiti solo da Di Pietro ma da ognuno di noi. Sono il frutto di una scelta di ciascuno inducendoci alla lotta, a inserirli e sostenerli nel programma elettorale. «IdV» non deve per forza ‘puntare’ solo sul carisma e la storia di ADP. Di Pietro merita plauso, è il motore che muove il partito, è il patos che ci sprona a seguirne la linea. Ma ricordiamoci che è un errore farlo diventare capro espiatorio di eventuali sconfitte, o fughe dal partito, o di “infiltrati” tipo De Gregorio. Proprio per questo è necessario spersonalizzare il partito, aprire alla democrazia di base, alle testimonianze forti degli iscritti capaci. Meglio perdere il voto dell’elettore che sta a ruota piuttosto d’umiliare il giovane che lavori con entusiasmo per la crescita dell’IdV. Quello ha bisogno della balia del “padrone”, non sarà mai maturo politicamente e, al  primo annuvolamento, sarà voltagabbana. Quest’ultimo è un investimento per il futuro, per le successive elezioni.  Crescerà con riferimenti precisi, idee critiche e autonome, all’altezza del confronto costruttivo con altre fazioni politiche. L’IdV ha iniziato a crescere ed è difficile avere idee chiare quando un partito compie il salto di espansione. Come succede ai genitori  notando il figlio nell’esplosione dell’adolescenza. Stargli addosso allarmandolo di divieti e paure ne faranno un temerario, un indeciso, uno senza valori perché, come scrive il sociologo Edgar Morin, «siamo malati di iperindividualismo, di protagonismo, di narcisismo».  Tutti i politici che sbandierano il proprio nome e cognome su un gadget o manifesto politico non saranno mai statisti perché hanno fondato il partito su sabbie mobili. Chi si autoproclama da “solo” leder, e come tale si mette in mostra, dimentica di palesare la limpidezza della propria storia politica e democratica per acquisire il potere, imprescindibile dal consenso di base. Se non possiede questa doviziosità  ed umiltà è il classico re nudo. Lo stesso accade a chi ha fondato un partito, un movimento, un gruppo insomma, egli si sente «padre» dello stesso, fatica  a staccarsene, a verificare i valori che, col tempo, scemano (…).; di Mosè che conduce il  suo popolo nella terra promessa, che io appia, ce ne è stato  uno solo! Per quanto ci rigurda qui inizia il rinnovamento dell’IdV: la liberazione dal padre, con tutto il rispetto s’intende, affinché siano liberate le nostre  potenzialità (se ne abbiamo!) di crescita nella conoscenza e coscienza dei prevalenti «valori» che mossero gli inizi.

La potenzialità del sordo

Mercoledì, Giugno 11th, 2008

Il mio sforzo è trovare “risposte” per la soluzione dei problemi sociali del sordo: il suo essere persona, l’accettazione nella sua potenzialità. Il soggetto del Silenzo vale. Perché la sua vita sia prettamente valutata psicologicamente e - perché no? - filosoficamente occorre che tutta la comunità compia lo sforzo di istruirlo bene e, poi, accettarlo. La maggior parte della gente non accoglie il sordo perché fa fatica a dialogare con lui: e senza dialogo si finisce per non amarlo né conoscerlo. Occorre aprirsi a quella condizione di forma mentis di accoglienza, e mentre lo istruiamo, ci avvediamo che è un essere straordinario. Egli ci insegna tantissimo. Molti cosiddetti esperti (di giornata di solito) sono persone vacue, senza volontà di scoprire il «tesoro del Silenzio». Di solito gli udenti impongono: e i sordi fuggono! Occorre essere coinvolti dalla forza dell’amore: e bisogna che quest’amore inizi nel microcosmo della famiglia. Se si riuscisse ad impegnare in famiglia questa doviziosità, assai se ne gioverebbero i figli normodotati per costruire interrelazioni basate sulle esperienze percettive visive. Tutti noi sordi, allora, saremo chiamati a scrivere - non la nostra storia personale - ma quella del Silenzio che ci favorirà nel contatto con la comunità. Saremo coinvolti sì nel mondo degli «altri», ma secondo le nostre peculiarità. E allora stringi stringi ti accorgi del «vuoto» di chi ti sta attorno, ad incominciare da chi dovrebbe istruirti (v. Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Amando, Roma 20O5). Invece siamo barca alla deriva (…). Alla lunga si capisce che l’esperto non ha studiato abbastanza per riciclare la cultura ex-novo secondo i bisogni. Eppure credo che nella storia linguistica non c’è mai stato un periodo così fertile come quello d’oggi che, grazie alla lingua dei segni, per lo più utilizzata nella comunicazione dei sordi alla stessa esposti, permette ai ricercatori di penetrare nell’humus del linguaggio. Ma questo è campus dei capaci. C’è comnque chi ha intuito la potenzialità del Silenzio estendendo le intuizioni ad una nuova forma lettearia; basta studiare gli scritti dei sordi per accorgersene. Ciò conduce ad un’approfondita riflessione sui processi neurolinguistici e la memoria del sordo.

Mente e cuore
Questo è il Silenzio
nel quale mi sono recato
in notti senza luna
nel buio delle terre
ho curvato il corpo
stanco di peregrinare parola.
E’ facile infilzarla - imitare i poeti.
Ma la notte rimane aggrappata al Silenzio.
Non so se riusciremo - un giorno
a superare l’Ostacolo.
Proviamoci. Il cammino è lungo.
Siamo messi alla prova da secoli:
e tu lo sai madre, preghiera
è stata la mia logopedia,
ripetute giaculatorie
mi hanno allenato al linguaggio;
eccomi parlare più lingue,
solo la più bella non accolta
capace di stendere a tutti
messaggi di mente e cuore (…)
Nel continuum dell’Itinerario approfondiremo queti temi.