Archive for Dicembre, 2006

La sordità imbarazza l’udente

Venerdì, Dicembre 29th, 2006

Quando un sordo si trova a parlare con un udente, che non conosce le modalità di comunicazione con chi ha problemi di udito, finisce sempre per spazientirlo, oppure quello sfocia nell’ironia. Azione che genera inquietudine e disagio psicologico. La sordità perciò: o fa innervosire o fa ridere! Spesso mi è capitato che qualcuno mi chiedesse un’informazione di una via, dell’orario di partenza o di arrivo di un bus o altro. Restato io dapprima confuso, appeso alle prime parole labiolette, per poi entrambi guardarci straniati, sino a quando il richiedente sbotta con l’immancabile domanda: «Lei è straniero?».

La sordità è imbarazzante sia per chi è costretto a conviverci sia per coloro che la subiscono. Perché è invisibile. Perciò è perdente, sempre sconfitta rispetto le altre “evidenti” disabilità. La sordità deve essere spiegata. Ho detto «spiegata». Perché è maestra per affrontare molte questioni di vita. Poi è cultura. Se oggi la maggioranza della gente è ignorante sulla sordità - e ciò che da essa proviene - la responsabilità è da attribuire anche ai noi sordi. Non siamo abbastanza decisi e preparati a «tenere lezioni sul Silenzio».

Nella mia professione di psicologo, in una struttura pubblica, per alcuni anni ho sofferto l’emarginazione del dialogo scientifico-professionale con i colleghi nelle riunioni settimanali di programmazione del lavoro nel territorio o portare a soluzione un caso. Mi accorgevo che la mia cultura e preparazione professionale. lo studio dell’evento considerato, l’intuizione di risolverlo andava spesso sperso perché intervenivo nel momento sbagliato, non riuscivo ad «entrare nel cuore del problema» per analizzare (anche) i pareri dei colleghi. La riunione dell’équiepe multidisciplinare si rivelava per me un tormento (…); anzi, talvolta finivo fuori tema così da essere ripreso da un collega «questo che c’entra col problema esaminato?».

Per un albero di Natale

Mercoledì, Dicembre 20th, 2006

Nella mia Porto Recanati sindaco e giunta sono turbati perché - come da alcuni anni – regalano l’albero di Natale ai quartieri. Quest’anno il quartiere “Sammarì” non ha partecipato nel palazzo comunale alla pomposa cerimonia di consegna. I consiglieri comunali e la gente del quartiere sono incavolati con l’amministrazione per non aver considerato i problemi delle loro viuzze, abituri, negozi, eccetera. Il “casus belli” ha fatto cassa per i giornali delle cronache locali. Ecco che l’assessore “agli Istituti della partecipazione” (sic) interviene con interviste e scritti ai giornali che “Noi offriamo l’albero ai Quartieri per trasmettere un senso di pace, gioia e serenità tra i cittadini e di tutti i Quartieri”.

L’intenzione è buona se il Natale è una festa per tutti, come (forse) lo era una volta. Oggi il Natale, sebbene scriviamo con la lettera maiuscola, non è più quello di ieri perché, se vale per la maggioranza della gente, meno è “natale” per una percentuale non indifferente di cittadini. Porto Recanati ha quasi il 20% di gente residente straniera, la cui religione - non solo ignora la festa del Natale cristiano - ma sono giorni in cui cresce lo sconforto di una solitudine e assenza che non ha nulla a che fare con la solidarietà trasmessa da un simbolo per cultura a loro è ignoto. Il messaggio della giunta è riduttivo, enfatico. Non si governa più col “volemose bene” dettato dalle date del calendario delle “feste comandate”: il dono del panettone e la bottiglia dello spumante ai vecchietti della casa di riposo, o cercare appoggi politici con l’invio degli auguri alle “persone in vista” della cittadina a spese dell’amministrazione. La festa della natività non è nata per lenire gli sconforti del Quartiere “Sammarì” col dono, ripeto, dell’albero. Il volemose bene è dovere d’intervenire per la soluzione delle questioni per tutto l’anno: dal 1° gennaio al 31 dicembre; altro è demagogia, anzi diseducazione per chi non professa la religione cattolica perché ci notano ipocrisia e strumentalizzazione di sentimenti.

La fede è coscienza di ricerca di un trascendente, pertanto personale che non può essere ridotta a politichese. “La politica - disse De Gasperi - è fare.” Chi non sa fare è incompetente e non può sfuggire alla responsabilità delegando ai dirigenti dell’ente perché è chiamato egli stesso a decidere: e se non ha cultura ed etica istituzionale decide male. Ho notato che, anche nell’assegnazione degli assessorati, c’è inflazione di nuove terminologie. Fumo negli occhi per scaricare l’inefficienza. L’albero di Natale ha compiuto il miracolo di togliere la maschera.

I genitori: la sordità mai

Martedì, Dicembre 12th, 2006

Quando mi permetto di approfondire nei familiari dei bambini sordi l’accettazione della sordità riconosco di inoltrarmi su un argomento spinoso, che non stimola la loro attenzione, anzi li irrita; interpretandola come azione sadica, anche perché finiscono quasi sempre per dare retta alle innumerevoli sirene che li circondano, con la promessa del recupero certo dell’udito. La mia onestà di professionista è stata coerente sia quando insegnavo nelle scuole specializzate sia operando da psicologo nelle strutture pubbliche, vale a dire sostenendo psicologicamente la famiglia nell’accoglienza della disabilità sensoriale del bambino. Valutarla senza drammi, scorgendovi una ricchezza per tramutarla in risorsa: prima per il piccolo, poi per la stessa famiglia e la comunità di maggioranza.

Non crediate che sia una scelta utopistica: è una proposta programmatica che può essere portata avanti dagli operatori scolastici e sociosanitari. L’accoglienza di vivere la sordità non è rassegnazione, si badi bene! Significa avere genitori diligenti che rinunciano all’accanimento  (e a girovagare per l’Italia e all’estero alla ricerca della panacea o del luminare) per conseguire la sanizzazione, al coattismo verbale, ad imitare il fratello o il cugino udenti, all’idea di conseguire per forza la «normalizzazione», che niente ha a che fare con la persona.

Discutere con la famiglia, i riabilitatori logopedici e gli insegnanti di questo Progetto di divenire sordo - perché si tratta proprio di un progetto -  è un processo che obbliga innanzitutto noi stessi  a cambiare concezione di vita, alla scelta dell’ ex-novo dove l’altro - il sordo - diventa il primo artefice di saper affrontare  le proprie questioni, crescendo egli stesso quale primo artefice per confrontarsi con i simili e gli udenti “normali”.  L’eutonologia di Henri Laborit  - saper vivere bene nella propria pelle - è dunque sapersi accettare «in viaggio» perché tutti, prima o poi, nella vita sperimenteremo la diversità: disabilità momentanea per parecchi e/o permanente per taluni. Dobbiamo addestrarci per essere pronti ad accoglierci nello essere diversi! I bambini sordi sono spinti a modellarsi secondo i bisogni di chi ha orecchi e lingua idonei; dimentichiamo che sono nel silenzio, anzi nella sordità: esperienza che include spavento in chi la considera dramma e isolamento; invece bisogna ‘rivisitarla’ su un contesto culturale, di processi psicocognitivi nei quali matura una persona migliore.

Solitudine tragica talvolta del sordo

Martedì, Dicembre 5th, 2006

Talvolta è importante accettarsi nella propria disabilità sensoriale. Ma come accettarsi? Non certo vuol dire rassegnarsi alla condizione di sordo. Se veramente ci si rassegna alla condizione di non poter ascoltare si finisce per rinchiudersi in un recinto, isolato. Solitudine tragica avvolge la persona priva dell’udito. La mia generazione di sordi, per lo più istruita nelle scuole specializzate, indicata con terminologia nuda e cruda: «i sordomuti». «gli handicappati», la maggior parte ha accolto la condizione d’essere sordi con serenità. Ci sono sordi figli di benestanti, di professionisti, sospinti a divenire secondo un modello parentale, di fratelli, di cugini, si sono trovati davanti ad ostacoli inenarrabili.  Non riuscendo essi a soddisfare le aspettative dei familiari, precipitavano nella depressione o nella nevrosi. Altri sordi, provenienti da famiglie modeste e/o semplici, abituati ad una condizione difficile di difficoltà economiche per seguire i figli, li hanno lasciati liberi di fare esperienze, di confrontarsi con i pari o nella comunità dei simili prendendone a modello alcuni (…). Costoro di poi hanno raggiunto un equilibrio psicologico e sociale gratificante. Altri sordi si sono accettati impegnandosi  con tenacia in un settore professionale o artistico: penso ai mei amici  dell’Istituto di studi medi e superiori “A. Magarotto” di Padova, che hanno creato laboratori di odontotecnica notissimi nelle proprie città; penso a pittori  e scultori famosi di valore; penso ai tanti docenti di lingua dei segni che si adoperano ad insegnare la LIS in ogni dove; penso ai dirigenti di associazioni che trascorrono intere giornate nelle sedi. Ci sono sordi che si ‘battono’ a livello nazionale, regionale, provinciale come leoni per favorire e suggerire strutture, personale specializzato, formazione di docenti, interpreti di LIS e labiali, per la diffusione di informazioni tramite media visivi adattati. Certo, se la società è pensata anche per chi non ode l’accettazione della privazione sensoriale dell’udito è meno dura.  Eppure  tutti gli anni assestiamo, nei mesi novembre-dicembre, al valzer della Finanziaria, ai ‘tagli’ sul sociale; vigilare - attraverso i dirigenti regionali e regionali delle associazioni - diventa sempre più stressante e drammatico nei rapporti col potere politico. La classe politica considera i disabili nulla-facenti, mangiatori di pane a ufo. Vuole eliminarli.  Ma non ce la fa. Sono parecchi. Allora esorcizza l’handicap. Il giochetto avviene - mi ripeto - modificando le parole di riferimento alla disabilità o al deficit. Chi era sordo diviene “possibile udente” con l’impianto cocleare, o audioleso.

Accettarsi non significa rinunciare  a uscire dalla condizione di disabile, a curare sensi e apparati del proprio corpo; vuol dire prendere coscienza di quel che si è, dominando e soggiogando la disabilità per riciclarla secondo le proprie esigenze, farne bandiera di lotta per migliorare - non solo la fazione dei disabili dell’udito e della parola - tutti.