Archive for Gennaio, 2008

Il discorso sulla terminologia per indicare sordo, sordità, eccetera

Domenica, Gennaio 20th, 2008

Quando parliamo di deficit dell’udito e/o di difficoltà di produrre il codice verbale di chi parliamo? E’ noto agli interessati più aperti e ai dirigenti dell’Ente Nazionale Sordi che, sino all’approvazione della legge n. 95/2006, nel nostro Paese era adottata la terminologia “sordomuto”, con riferimento al soggetto nato sordo o divenutolo durante l’età evolutiva. (Qui bisogna aprire una parentesi per definire l’età evolutiva  considerando il sesso, la cultura, l’alimentazione, il clima… ). Comunque sia, nelle commissioni medico-legali per l’accertamento della disabilità la consueta definizione ufficiale era: “soggetto affetto di sordomutismo non dipendente da cause di guerra o psichica” (cfr. legge 381/1970, art. 1). Questa etichetta dava fastidio ai genitori che portavano a visita fiscale, davanti l’apposita commissione, i propri figli e si adoperavano poi per la riabilitazione logopedica. A metà degli anni Settanta del secolo scorso frotte di familiari e operatori consideravano la logopedia la panacea per acquisire la lingua verbale, di fatto la normalità del sordo. Avevano obbrobrio del termine “sordomuto”, lo rifiutavano considerandolo escludente e che confessava che la società era incapace di riabilitare. Tuttavia il presidente della commissione medico-legale per l’accertamento del… sordomutismo doveva rapportarsi ad un riferimento legislativo per i futuri benefici economici, protesici e occupazionali del soggetto. Ma quasi tutti i genitori pretendevano  che il presidente della commissione evitasse  la terminologia “soggetto affetto di sordomutismo” per “soggetto affetto di grave ipoacusia bilaterale con difficoltà di apprendimento del linguaggio”. Aggiungendo: “invalidità al cento per cento” (sic). Non considerava cioè la legge 381/1970, come era evidente; per aggirare la terminologia “affetto di sordomutismo” scaricava il piccolo o il soggetto in età evolutiva sulla legge degli invalidi civili, vale a dire la legge 118/1970. In seguito le associazioni delle famiglie dei sordi regionali, raggruppate nella Fiadda, proposero e diffusero il termine “audioleso”, che letteralmente significa, come è noto, audio-leso, riferendosi all’apparato uditivo. Ci sono sordi italiani che riprendono il termine a livello derisorio. Se chiedi a qualche burlone: “Tu odi bene?”. “Oh no, ho l’audioleso!” intendendo riferirsi alla protesi acustica inefficiente, o ad altri accidenti collegati all’apparato dell’ascolto. Comunque sia, audioleso si diffuse rapidamente tra i familiari dei sordi per evitare che qualcuno insistesse sul termine “sordomuto”.

Nella lingua anglosassone, negli Stati d’Uniti non esiste il riferimento al termine sordomuto, ma semplicemente deaf, sordo. Perché i sordi americani giudicano il proprio body - non solo nei tre centimetri quadrati delle orecchie inefficaci, da cui la carenza delle difficoltà intelligibili della parola per inadeguatezza dell’orecchio interno - nella globalità della persona capace di utilizzare altre modalità di comunicazione, d’uscire dalla nicchia della mutezza. Questa riflessione condusse la maggior parte dei sordi statunitensi, e dei Paesi nordici, a prendere coscienza della sordità, non solo come evento personale ma soprattutto sociale. Le comunità, prettamente quelle dei Paesi la cui lingua è forgiata sul ceppo latino, convivevano nelle diatribe interne di apparire protettori del sordomuto nelle istituzioni, negli enti speciali (del resto lo stesso procedimento sociopolitico riguardava i ciechi, i “matti” e così via). In Italia c’era chi lucrava sul pietismo dei “poveri sordomuti”, anche per le cospicue rette sborsate dalle amministrazioni provinciali, basti pensare che, per il conseguimento della quinta elementare, i sordi erano tenuti in istituto dieci anni! (cfr. R. Pigliacampo, Lo stato e la diversità, Armando, Roma 1983). C’era dunque timore che la nuova terminologia confessasse le potenzialità dei sordi, venissero liberati dalla soggezione all’udente e, dall’altra parte, c’era la proposa confusa, nevrotica d’imporre il cambiamento del termine da parte delle associazioni dei familiari, senza ascoltare i protagonisti adulti, credendo bastasse abolire il disonorevole “sordomuto” e/o opporsi all’Ente Nazionale Sordomuti, che conservava nell’ingresso delle proprie sezioni la dicitura, per aver risolto il problema dell’integrazione scolastica e sociale, affermando alla comunità che “il sordo non è muto”, che “i sordi parlano” e frasi di questo effetto. Il casino era assicurato, ma se non c’è chiarità di termini non c’è nemmeno comprensione del problema di base o specialistico.

Dopo un periodo di titubanza i sordi scendono in campo. Sono d’accordo che il termine “sordomuto” ha fatto il suo tempo. E poi perché muto? Sono concordi delle loro capacità e possibilità di comunicazione con modalità differenti, ma ugualmente efficaci. Virginia Volterra e altri studiosi di lingua dei segni approfondiscono la struttura del linguaggio dei segni riprendendo le ricerche e gli studi dello statunitense William Stokoe. Negli anni 2005 e 2006 i sordi italiani dimostrano la loro unità e capacità organizzativa dopo che il Senato della repubblica aveva approvato il termine di indicarli “sordi preverbali”: e allora scendono compatti davanti alle Prefetture italiane, la loro civile e insistente protesta induce il Parlamento a modificare la legge per il termine “sordo”! Qui sorge un’altra considerazione (non stupisce chi s’inoltra nel composito mondo dei sordi e della sordità):  sordo “come”, “quando”, “quanto”?

   “La mia sordità” mi dice il giovane amico e studioso Dr Daniele Regolo “non è la tua.” E’ così. Gli rispondo con le stesse parole.

   Mi fermo.

   Nelle prossime tappe dell’Itinerario approfondiremo.

Il Maestro

Giovedì, Gennaio 17th, 2008

Infinita molecola giaccio,
nel mistero buio avverra’
cosa?

Questa notte
vorrei vestirmi di luce
ed esplodere in Te.

Questa è l’ultima notte del mio cercare:
poi rotolerò nel cosmo
mistero di me che sarà colà?

(Sapere dove Sei nascosto,
Maestro d’un messaggio saudente,
filosofo nel formarmi uomo,
furbo austero oggi Ti cerco)

Quando per me una notte stellata?

L’universo infinito si tende
nell’impossibile calcolo del tempo,
oltre le soglie del pensiero
m’intimorisce il Nulla.

da Renato Pigliacampo, L’albero di rami senza vento, Iuculano editore, Pavia 2007.

Vogliamo essere noi stessi, padroni del Silenzio

Venerdì, Gennaio 11th, 2008

La comunicazione ci riguarda principalmente perché questa società (in particolare l’italiana) è fondata sul chiacchireccio. Si parla troppo senza porsi l’elementare domanda se l’altro ci ascolta o è in grado di seguirci. E’ un vizio non solo degli udenti. Sono in grado di dimostrare che i “fiaddisti”, cioè i sordi riabilitati nei centri del linguaggio gestiti dalla Fiadda, hanno gli stessi difetti delle persone che odono. Quando iniziano a parlare attaccano con un sermone che non finisce più! Mostrando di fatto di non saper dialogare. Per essi, l’interazione con l’altro, significa esclusivamente predisporsi per una perfomance logorrea. Costatazione esplicita che i nostri sordi segnanti e bilingui sperimentano con quella gente sorda orialista.

Tuttavia è bene che i sordi migliorino i rapporti con la comunità che utilizza esclusivamente la comunicazione verbale. Non è facile. Negli Uffici pubblici o sedi che hanno relazioni col pubblico i sordi gravi o gli audiolesi si trovano in una situazione peggiore rispetto agli immigrati. I quali ogni giorno imparano nuove parole per i propri bisogni. E il loro insistere con la domanda “come di chiama?”  li stimola ad imitare il modo di parlare e quanto opportuno per lo scambio socio-relazionale nell’ambiente in cui vivono od operano. La nostra associazione nazionale dovrebbe programmare Seminari per la gente di una certa età per la quale è impossibile seguire corsi di lingua dei segni; si potrebbe intervenire organizzando interventi, per chi è a contatto col pubblico, quindi anche con i sordi o gli audiolesi, in modo di istruirli sulle modalità di articolare l’apparato labiobuccale favorendo la labiolettura (…). Spiegando e parlando dei nostri problemi riusciremo ad eliminare i pregiudizi. Gli stessi docenti  specializzati - sulla carta - non sono specializzati né nella comunicazione né nei processi di apprendmento dei sordi. Sono stati catechizzati sulla fisima dell’integrazione che, per tantissimi di loro, è accettare-accogliere il diversamente abile (scegliete voi la terminologia che gradite!) a divenire normale, modello di maggioranza. Perché siamo tutti mormali quando interveniamo sul  “disabile”, prendendo per misura  noi stessi, credendoci prototipo della perfezione; anzi dal nostro punto di vista lo siamo, lo pretendiamo autoappiccicandoci l’etichetta in fronte. Pronunciare le parole “sei normale!”, “parla a voce e sei normale!” non costa mica un euro! Sono categorie di parole e frasi senza concettualizzare il problema della  specifica disabilità. Siamo nell’ignoranza di base. C’è un processo di rivisitazione di tutta la società perché riveda l’inclusione secondo i bisogni. Oggi si esclude perché non si conosce: e non si comprende perché vogliamo tutti essere standardizzati sul modello pubblicitario imperante. Quando il cittadino sordo si presena in uno status differenziato - perché sperimenta processi psicocognitivi sconosciuti al cosiddetto normale - la comunità di maggioranza se ne allarma. E’ allora che le forze del Silenzio più evolute e coraggiosevo devono proporre un modello di crescita  in cui siano messe in gioco le potenzialità intellettive per andare oltre. Perché avvenga c’è bisogno di giovani colti e capaci, che ragionino di sociologia e psicologia in senso generale per accedere alla leaders (almeno) nei gruppi della loro comunità. So che qualcuno penserà che sia presunzione. Non credo. Attorno ai sordi esiste troppa gente formata dagli udenti. Vorrei che i professionisti per i sordi siano formati dai sordi professionisti, così altri operatori. Siamo chiamati a compiere questo sforzo.

Parlare di pari opportunità e tutte le frasi fatte è solo demagogia di una giornata o di una riunione. Non vogliamo essere manipolati. Vogliamo essere noi stessi, avere gli strumenti di formazione per affrontare i nostri problemi, senza temere la sordità. Il nostro Silenzio sia trasformato in un processo coscenziale di esigenze specifiche che ci conduca a misurarci con gli altri. Bisogna creare un gruppo di giovani studiosi, o meno giovani, di differenti discipline in grado di saper rispondere ai professionisti della Salute e della Psiche con la forza (anche) dell’esperienza.

La monnezza, la garbologia… i politici campani.

Mercoledì, Gennaio 9th, 2008

La scena politica adesso è sulla monnezza della Campania. In un Governo in agonia cade a pennello.
Dovremmo studiare garbologia. Il primo a proporre lo studio della spazzatura è stato Alan Weberman in un suo libro su Bob Dylan: per conoscerlo meglio, aveva indagato persino sulla spazzatura che il cantante produceva. Il primo a considerare la garbologia una scienza è stato l’archeologo americano William Rarhje, che ne sviluppò gli studi all’Università dell’Arizona. L’idea è elementare: posso comprendere i comportamenti della famiglia Bianchi seguendone per un periodo gli scarti del cibo. Analizzando l’immondizia Rarhje ha suddiviso l’era dei consumatori in tre periodi: arcaico (1950-1961), classico (1962-1975) e decadente (1976-1980).
Nel tanto blaterare dei media sull’immondizia nessuno ha fermato l’attenzione sulla garbologia. Se qualcuno la avrebbe considerata, forse si capirebbe meglio Napoli. L’ignoranza in garbologia condanna tutti… compreso Di Pietro. Lo scaricabarile è stato enfatico, per un pugno di voti. L’Italia dei Valori della Campania, che siede in giunta, perché non ha minacciato tempo prima di andarsene? Se non sbaglio, proprio da quelle zone l’IdV ha avuto il primo transfuga (De Gregorio) e poi… mi fermo.  Mi mordo la lingua, azione di autocontrollo, ma anche di attesa che i vertici del partito prendano coscienza di doverlo dirigere democraticamente… se non vogliono restare nell’Utopia. E’ probabile che il percorso compiuto sia stata un’illusione, dando ragione – anche negli errori – a Di Pietro. Almeno lui ha più dignità, gli viene dal rispetto delle sue radici.

I politici campani (quelli della monnezza che non hanno saputo gestire) hanno approfittato del  porcellum elettorale per fare eleggere: la signora del Governatore Bassolino, la Carloni, alla Camera; il fratello del Ministro dell’Ambiente Scanio Pecoraro, al Senato; la moglie del Ministro di Giustizia Mastella… alla Presidenza dell’Assemblea Regionale. Si può continuare.
La verità è che a tutti quelli che in questi giorni stanno in passerella a recitare la loro parte si può porre la domanda che fece il grande Totò: «A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarellina da mangiare?». Hanno approfittato di una sporca legge elettorale per portarsi a tavola gli intimi, che gli hanno annebbiato il cervello producendo ancora più monnezza, oggi puzzolente come la cloaca massima.