Archive for Maggio, 2008

Istruire bene il sordo

Martedì, Maggio 27th, 2008

Non so se qualcuno si rende conto - riferendomi innanzitutto ai genitori dei sordi - che l’insegnamento (un buon apprendimento scolastico) viene prima della riabilitazione fonica. Ebbene non c’è genitore che non porti l’attenzione sulla funzionalità dell’orecchio e, di conseguenza, sulla buona o meno acquisizione della lingua verbale (o vocale).

   «Il pappagallo» mi ha detto uno dei pochi docenti specializzati che io conosca capaci dinsegnare ai sordi «si nutre di parole.» Sono rimasto perplesso dell’affermazione. La verità è semplice: bisogna che i docenti diventino «da sostegno» a «docenti specializzati». Come? Prima di tutto è opportuno che siano preparati a comunicare con i propri alunni o/e studenti sordi o audiolesi. Non per questo devono divenire interpreti simii ai traduttori dalla lingua dei segni al verbale e viceversa. I docenti specializzati devono essere in possesso di risorse linguistiche e metalinguistiche, presenti allorché il docente sia effettivamente specializzato. Sono chiamati a studiare lo sviluppo del linguaggio nei processi psicocognitivi propri del sordo. Alcune università italiane stanno prendendo coscienza di questo, tuttavia la selezione dei «docenti incaricati» - se c’è - è manchevole. Talvolta è richiesto agli incaricati solo «se sanno i gesti dei sordi», piuttosto di valutare le conoscenze teoriche, le capacità di approfondire la psicolinguistica di uno scibile che condurrà, i futuri docenti, al salto di qualità, che è appunto il traguardo della specializzazione.

Sino ad  oggi si è privilegiato la scelta di docenti “addestrati”,  «a far segni» insomma,  negli incarichi di docenza  per la disciplina Linguaggi  per il sostegno (settore non udenti) nelle Facoltà di Scienze della Formazione a scapito di conoscenze e ricerche sui processi dello sviluppo del liguaggio propri del canale visivo e cinestetico.

Anche se fra qualche decennio - grazie alle staminali - dalla faccia della terra sarà annulata la sordita grave, se non compiamo lo sforzo di comprendere linguisticamente il sordo, resteremo  orfani di conoscenze fondamentali che ci arrivano dallo studio di questo settore, vale a dire la verifica e conoscenza di un linguaggio che permette di approfondire «parole» e «langue» secondo gli studi saussuriani, e non solo!

Dire sempre no al pietismo

Lunedì, Maggio 26th, 2008

Noi sordi non dobbiamo accettare d’essere “governati“ dal sottogoverno, che vive di noi e, per mezzo di noi, propone e consolida leggi attraverso le quali poi ci comanda o ci emargina. Dobbiamo avere - lo confermo ancora una volta - la dignità e l’intelligenza di scrollarci di dosso commiserazioni e pregiudizi che vestono le nostre identità da secoli. Ho sempre combattuto per l’indipendenza di giudizio e la libertà di scelta. La mia è stata sempre una guerra solitaria che tanti, troppi, hanno visto da una parte sbagliata. Ma per noi sordi gravi come potrà avvenire l’emancipazione se non che con un atto rivoluzionario? Da sempre, noi tutti o quasi tutti, viviamo nell’umiliazione d’essere raccomandati per avere un “posto di lavoro“. Questo strisciare continuo ai piedi del “potente“ di turno ha finito per debilitare la nostra intelligenza, rimettere le nostre rivendicazioni nelle mani altrui, annullato il nostro coraggio: e loro si sono messi davanti a noi per risolvere i loro problemi, non i nostri. Tante volte mi sono accorto d’aver mutilato la mia idea o iniziativa di protagonista, o d’averla plasmata su suggerimenti di chi parlava da fuori (…). E’ triste ammetterlo, ma è proprio così: e mentre la rassegnazione mi sommerge vincendo a poco a poco le ultime scintille di ribellione, non posso omettere l’avvilimento che sta diventando cronico in noi disabili  insinuandosi nei giovani deboli con la droga, con la violenza cieca per futili motivi, col sesso sfrenato, col furto, con la smania di correre pazzamente su auto e moto, con la paranoia.

Dobbiamo avere il coraggio di diventare pro-ta-go-ni-sti. Una danza di parole? No. E’ il rispetto dell’intelligenza per risolvere, noi, i nostri problemi.

Lesbismo e figlio sordo

Venerdì, Maggio 2nd, 2008

Il filosofo Sebastiano Maffettone, recensendo un libro di Michael J. Sandel, Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica, Vita e Pensiero, Brescia 2008, dice che qualche anno fa, a Harvard, fu invitato ad un seminario di Bioetica, coordinato dallo stesso Sandel, filosofo politico comunitarista. Il caso del quale si dibatteva era la vicenda di una coppia lesbica composta da due sorde, Sharon Duchesneau e Candy McCollugh, che volevano un figlio con inseminazione artificiale. Ovviamente ciò non consisteva novità, stava nel fatto che cercavano un donatore di sperma che discendesse da almeno cinque generazioni di sordi. Ebbero il figlio sordo, come auspicavano. Sandel chiese ai presenti se condividevano - «sì» o «no» - la scelta del comportamento delle due lesbiche. Maffettone scrive che «Io alzai la mano insieme a coloro che disapprovavano», pensando fosse una decisione crudele stabilire la nascita di un bambino handicappato. La verità è un’altra: e non stupisce coloro che vivono quotidianamente a contatto con i sordi. Le due donne hanno compiuto una scelta logica, principalmente che il figlio comunicasse con loro, vale a dire con la lingua dei segni. Se avessero optato per un bambino udente sarebbe stato un bambino diverso da loro per cultura e sviluppo di linguaggio. Un bambino dunque sconosciuto. Qui la Bioetica c’entra poco. Gli udenti scorgono, nella decisione, un atto egoistico. Falso, anzi è una scelta ponderata, di collaborazione solidale dei membri. Qui in Italia parliamo di integrazione dei sordi nelle classi delle scuole residenziali, ma non pensiamo a sufficienza come evitare la loro esclusione nel contesto interrelazionale per mezzo di docenti specializzati e preparare i coetanei che odono all’accoglienza dei compagni diversamente abii nell’ascolto. Non si mostra solidarietà imponendo all’altro una presunta normalizzazione. «Normalità», in certi contesti, è solo una parola come tante. Le due lesbiche hanno optato per un figlio sordo perché fosse esplicito, sin dall’accoglienza alla vita di relazione, che egli apparteneva alla comunità dei sordi e ne acquisisse, proprio attraverso la lingua specifica, identità e cultura. Oggi, nel nostro Paese, le relazioni con i sordi sono impastate di ambiguità nella scelta compiuta per loro. Li si vuole (la famiglia) normali senza  approfondire che già lo sono. La verità è differente perché obbliga i familiari e la scuola a ricliclarsi secondo i bisogni. Di fatto è pigrizia e ignornza, drammi della nostra società.