Archive for Marzo, 2007

Solitudine e speranza

Sabato, Marzo 24th, 2007

Ho voglia di cantare, di liberarmi
d’una solitudine ch’è solo in me:
mi crocifigge da tempo;

la vedo nel volo del gabbiano,
nello sfuggente gioco del bardascio,
nel greve cammino dell’anziano,
nella mano del povero che si tende,
nel celebrante della chiesa vuota,
nella madre che percorre il camposanto
in cerca di familiare avello

(Solitudine sarai mia sposa stasera,
pur sapendo che pace non arrivera’
dall’altra sponda martoriata violata)

Stamattina era primavera
sul volto radioso d’un fanciullo
che mirava il sole

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da: L’albero di rami senza vento, Iuculano editore, 2006.

Intellettuali e interessi

Giovedì, Marzo 22nd, 2007

Avete notato il numero degli intellettuali in Parlamento? E’ così esiguo che non c’è il numero legale per poter creare una cooperativa culturale (sic!). Mi assicurerete che ce ne sono abbastanza di deputati e senatori che scrivono libri di sociopolitica, o romanzi, e parecchi giornalisti… Vero. Ma non mi riferivo a costoro, intendevo l’Intellettuale con la I maiuscola,  il pensatore politico-filosofo. Come Croce. Come Gentile. Penso, per l’oggi, a Giovanni Sartori, ad Umberto Eco, …. Ma gli intellettuali organici non hanno buona fortuna nei partiti. Bertinotti ha preferito portarsi in parlamento Luxuria e Casarini, piuttosto che un Asor Rosa o altri intellettuali di sinistra. Di Pietro, nella circoscrizione campana, ha inserito in lista De Gregorio; forse costretto a considerarlo per le promesse di voti, portati poi pro domo sua! Appena eletto ha iniziato a sfasciare l’Italia dei Valori. “Intellettuale” anche lui, dato che fa anche l’editore! … Nella politica italiana non si contrappongono più ideologie e valori, ma esclusivamente interessi. E nella lotta per la cupidigia di abbrancare “interessi”, l’altro non è più un concorrente, ma un avversario da battere ad ogni costo, un nemico insomma. Come si può eliminare il tornaconto politico? Bisognerebbe abolire l’indennità di carica. Elargire solo lo stipendio o la pensione che si percepiva prima di accedere in Parlamento. Poi si forniscano i servizi e i rimborsi delle spese sostenute per il mandato elettivo. Pensate sia l’ingenuità di uno che non conosce la macchina mangiasoldi dei partiti? La conosco. Ma dico che è immorale stipendiare chi non produce niente, per esempio i cosiddetti “pianisti”. Abolita la lucrosa indennità di carica, si candideranno al Parlamento solo coloro che hanno vera passione politica, e chi si adopera per la comunità. Forse si danno prebende a chi accompagna malati a Lourdes? o ai tantissimi che s’impegnano nelle migliaia e miglia di associazioni di solidarietà? Quarant’anni fa, Giuseppe Maranini, tra i primi a criticare i partiti, scriveva: “Una democrazia non è tale se non offre agli elettori strumenti validi e intelligibili per scegliere il gruppo dei governanti“. I partiti che ora sono in Parlamento hanno scelto i propri uomini, yesmen e “necessari,” per collegarli nelle commissioni. L’elettore italiano è stufo di quest’andazzo. La perfidia della legge elettorale del passato governo si protende minacciosa sulla stabilità dell’attuale. La sconfitta del capo di governo precedente è sempre astiosa e vendicativa: e quella di Berlusconi si allunga sull’Italia perché, per lui, “fare politica” vuol dire “essere Potere”, anche con la P maiuscola, sceneggiando posture alla Napoleone. Non è un modello: è il totalitarismo più pericoloso, camuffato nel sorriso-esca pro-ingenui.

L’ingenuità di Popper

Giovedì, Marzo 8th, 2007

Il filosofo Popper è un illuso, afferma: “Abbiamo un dovere verso i giovani: insegnargli a costruire un mondo meno violento“. Quel che è accaduto allo stadio di Catania, dove centinaia di giovani hanno sbrancato poliziotti sino a renderne qualcuno a morte, significa che noi genitori non abbiamo impartito nessun’educazione né valore né rispetto per la vita. La sconfitta è più nostra che vostra, ragazzi. Eppure “gli adulti non capiscono niente da soli e i bambini si stufano a spiegar loro ogni volta tutto daccapo (…). Poi, questi adulti, non hanno più tempo ad imparare il nuovo.” (Antoine Saint-Exupére - Il piccolo Principe). Io il libro del piccolo Principe non lo avevo letto da bambino, perché in campagna non era consueto starsene sui libri: “leggere rovina la vista”, diceva qualche vecchia contadina. Bastava avere attenti gli orecchi per satollarsi di racconti della vergara o del vergaro ed essere educati ai diritti e ai doveri. Troppi giovani, oggi, vogliono tutto e sùbito. I diritti portano solo al “volere/voglio”; i doveri impongono “sacrificio” e “dare”. Quando, nel nostro tempo, il giovane scapestrato trova un ostacolo o un impedimento che gli blocca la possibilità d’avere, eccolo annientare, anche col sangue, chi glielo impedisce, considerato come un “nemico”. “O tempora, o mores!” s’alza la voce di Marco Tullio Cicerone. Taluni giovani “normali” mi fanno paura: il loro modo di vivere la gioventù come fosse l’ultima decade dell’esistenza; il contatto con i giovani di altre esperienze o di altre idee politiche che assurge quasi sempre a scontro; il loro essere studenti incapaci di porre domande per costruire il futuro attraverso la cultura… Mi rendo conto che l’educazione come l’ho sperimentato è morta. Dobbiamo ripensarla da cima a fondo. Come? Forse noi genitori ci convertiremo bambini, chissà che non riusciremo a trovare un punto d’incontro. Forse ritorneremo a mettere in riga le generazioni. Diceva Esiodo: “Azioni di giovani, consigli di persone di mezza età, preghiere di vecchi“. Ma pia illusione che ha fatto il tempo (…). Tuttavia mi ha fatto impressione quel ragazzo scuola incontrato l’altro ieri ad un convegno, su un foglio mi ha tracciato le frasi: “Perché non iniziate ad ascoltarci? Nessuno si avvede della nostra solitudine e sete d’amore?“. E’ proprio così.

Il discorso sull’integrazione è sempre proposto dagli specialisti udenti

Lunedì, Marzo 5th, 2007

La questione dell’integrazione dello scolaro sordo è complessa. Non basta dire: accogliamo gli scolari sordi, i disabili in genere nelle scuole e nella società normale. L’ integrazione dovrebbe rendere sereno e felice il sordo. Al contraio lo troviamo ansioso, spesso addirittura aggressivo verso il coetaneo. Accade perché convive con una realtà  non conforme ai bisogni di apprendimento. Allora il dramma non è più l’impossibilità d’udire, è convivere e condividere acriticamente un Sé imitativo, un surrogato di chi integralmente percepisce la comunicazione verbale. Si rinuncia ad essere se stesso, a sperimentare le proprie potenzialità psicointellettive per «copiare» il coetaneo udente che, per la gente comune, è considerato nella norma, valutazione per lo più di stolti che, per un ipotetico recupero della sensorialità uguale agli udenti, inabissano potenzialità proprie della percezione visiva del sordo. Vogliono far sposare un processo di sviluppo psicocognitivo e linguistico sul modello udente, del quale però il sordo non ha la peculiarità dell’interscambio continuo sonoroverbale, la prontezza del referente mnemonico. Eppure, le sirene dell’integrazione, hanno sempre garantito ai familiari che la sordità sarebbe stata superata con la panacea della presenza stimolatrice degli udenti. Iillusione. Potrebbe esserci qualche iniziale entusiamo ma, di lì a poco, sopravviene l’oscurità, vale a dire la mancanza di un progetto appropriato che stimoli la percezione visiva a caricarsi del lavoro dell’udito.

Salgono in cattedra alcuni studiosi di sociologia dell’integrazione che mettono i puntini sulle “i” perché distinguono la tipologia dell’integrazione (Nirje 1969) e (Wolfensberger e altri 1991) presentano differenziazioni, per esempio, annunciano l‘integrazione fisica (sistemazione dei servizi di cui si serve la persona disabile negli ambienti frequentati); l’integrazione funzionale (estensione dell’i. fisica, accesso reale agli ambienti fisici, per es.: ristoranti, mezzi di trasporto. pescine, ecc.); l‘integrazione sociale, cioè gli scambi interpersonali che l’individuo stabilisce nel quartire, scuola, lavoro e nella comunità in generale; l’integrazione personale, vale a dire le interazioni con le persone più vicine: genitori, fratelli, sorelle, parenti, amici, marito o moglie, bambini; l’integrazione societale è l’esercizio dell’autonomia nella scelta di decidere sulla propria vita e coscienza dei propri diritti; infine l’integrazione organizzazionale che è la capacità di utilizzare i servizi destinati alla popolazione in generale. Pertanto prima di discutere dell’integrazione del sordo nella scuola dovremmo porci  degli interrogativi se abbiamo programmato l’abbattimento delle barriere che egli incontra/trova nei contesti sociali e istituzionali. Se non ci adoperiamo prima che il sordo arrivi nelle strutture scolastiche confermiamo d’essere stolidi e incapaci d’aiutare il sordo. L’integrazione, di cui tanto vaticinano esperti e familiari, alla lunga diviene l’asino di Buridano.