Vogliamo essere noi stessi, padroni del Silenzio

La comunicazione ci riguarda principalmente perché questa società (in particolare l’italiana) è fondata sul chiacchireccio. Si parla troppo senza porsi l’elementare domanda se l’altro ci ascolta o è in grado di seguirci. E’ un vizio non solo degli udenti. Sono in grado di dimostrare che i “fiaddisti”, cioè i sordi riabilitati nei centri del linguaggio gestiti dalla Fiadda, hanno gli stessi difetti delle persone che odono. Quando iniziano a parlare attaccano con un sermone che non finisce più! Mostrando di fatto di non saper dialogare. Per essi, l’interazione con l’altro, significa esclusivamente predisporsi per una perfomance logorrea. Costatazione esplicita che i nostri sordi segnanti e bilingui sperimentano con quella gente sorda orialista.

Tuttavia è bene che i sordi migliorino i rapporti con la comunità che utilizza esclusivamente la comunicazione verbale. Non è facile. Negli Uffici pubblici o sedi che hanno relazioni col pubblico i sordi gravi o gli audiolesi si trovano in una situazione peggiore rispetto agli immigrati. I quali ogni giorno imparano nuove parole per i propri bisogni. E il loro insistere con la domanda “come di chiama?”  li stimola ad imitare il modo di parlare e quanto opportuno per lo scambio socio-relazionale nell’ambiente in cui vivono od operano. La nostra associazione nazionale dovrebbe programmare Seminari per la gente di una certa età per la quale è impossibile seguire corsi di lingua dei segni; si potrebbe intervenire organizzando interventi, per chi è a contatto col pubblico, quindi anche con i sordi o gli audiolesi, in modo di istruirli sulle modalità di articolare l’apparato labiobuccale favorendo la labiolettura (…). Spiegando e parlando dei nostri problemi riusciremo ad eliminare i pregiudizi. Gli stessi docenti  specializzati - sulla carta - non sono specializzati né nella comunicazione né nei processi di apprendmento dei sordi. Sono stati catechizzati sulla fisima dell’integrazione che, per tantissimi di loro, è accettare-accogliere il diversamente abile (scegliete voi la terminologia che gradite!) a divenire normale, modello di maggioranza. Perché siamo tutti mormali quando interveniamo sul  “disabile”, prendendo per misura  noi stessi, credendoci prototipo della perfezione; anzi dal nostro punto di vista lo siamo, lo pretendiamo autoappiccicandoci l’etichetta in fronte. Pronunciare le parole “sei normale!”, “parla a voce e sei normale!” non costa mica un euro! Sono categorie di parole e frasi senza concettualizzare il problema della  specifica disabilità. Siamo nell’ignoranza di base. C’è un processo di rivisitazione di tutta la società perché riveda l’inclusione secondo i bisogni. Oggi si esclude perché non si conosce: e non si comprende perché vogliamo tutti essere standardizzati sul modello pubblicitario imperante. Quando il cittadino sordo si presena in uno status differenziato - perché sperimenta processi psicocognitivi sconosciuti al cosiddetto normale - la comunità di maggioranza se ne allarma. E’ allora che le forze del Silenzio più evolute e coraggiosevo devono proporre un modello di crescita  in cui siano messe in gioco le potenzialità intellettive per andare oltre. Perché avvenga c’è bisogno di giovani colti e capaci, che ragionino di sociologia e psicologia in senso generale per accedere alla leaders (almeno) nei gruppi della loro comunità. So che qualcuno penserà che sia presunzione. Non credo. Attorno ai sordi esiste troppa gente formata dagli udenti. Vorrei che i professionisti per i sordi siano formati dai sordi professionisti, così altri operatori. Siamo chiamati a compiere questo sforzo.

Parlare di pari opportunità e tutte le frasi fatte è solo demagogia di una giornata o di una riunione. Non vogliamo essere manipolati. Vogliamo essere noi stessi, avere gli strumenti di formazione per affrontare i nostri problemi, senza temere la sordità. Il nostro Silenzio sia trasformato in un processo coscenziale di esigenze specifiche che ci conduca a misurarci con gli altri. Bisogna creare un gruppo di giovani studiosi, o meno giovani, di differenti discipline in grado di saper rispondere ai professionisti della Salute e della Psiche con la forza (anche) dell’esperienza.

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