Breve antologia critica

“La sordità non è di ostacolo a una persona dotata come Lei di viva intelligenza, anzi dotata d’ingegno, di esprimersi artisticamente in prosa e in poesia.”

Diego Valeri,
Lettera a Renato, 23 giugno 1973

“Lei è scrittore, è poeta, e il suo difetto fisico, invece di precluderLe certi strumenti espressivi glieli migliora o comunque glieli caratterizza sia tecnicamente sia umanamente.”

Cesare Zavattini
Lettera a Renato, 6 luglio 1978

Nella poesia di Renato Pigliacampo c’è un cammino interno, una luce che avanza dal silenzio e cerca la meraviglia di poesia per conquistare il poeta stesso. C’è poi una continua ego di denuncia. E’ allora che la poesia diventa un intenso canto di umanità, desiderio civile, ricerca e prassi di conoscenza: un continuo processo di liberazione.

Gastone Mosci

C’è un fervore di sontuose invenzioni e visioni, che testimoniano una vocazione autentica e originale. Renato dimostra la capacità di giocare col verso, sul linguaggio, sulla creazione dei miti, cantando di una poesia come autentica alternativa al reale e al fenomenico.

Giorgio Barberi Squarotti

Meraviglia, stupisce, accende la fantasia, esalta la nosta sensibilità la poesia di Pigliacampo; le parole non udite diventano versi, partitura musicale di un poetare puro per pura coscienza.

Nora Rosanigo

La sua voce è personale e pertanto convincente, con una collocazione dell’immagine che stempera la pena del vivere nella fresca bellezza della terra marchigiana, scoperta goduta evocata da chi ha potuto vedere quanto cantando il suol si disacerba.

Rosa Berti Sabbieti

Poesia del silenzio che coglie la sua origine nella solitudine perfetta che la parola vive nel corpo, non solo e non già vincolo dell’impossibile fonazione, ma più esistenzialmente coscienza del limite dell’uomo, atterrito dalla brutalità del mondo e della Storia.

Guido Garufi

La grazia della poesia di Renato Pigliacampo sta, in gran parte, nelle suggestioni delle immagini, nel lieve uso che ne fa il poeta quando si piega a contrappuntare i sentimenti con l’inusualità delle figure, l’eccentricità delle visioni, il segreto di una miscelatura garbata ed essenziale. Ma la parola in Pigliacampo ha un’altra funzione ben più profonda: predisporre al discorso l’anima di quel sé stesso che non ode e che non vuole ascoltare il mondo del rumore, del frastuono e del nulla. E’ qui che si risolve allora la creazione di una forma di visione del mondo che è gentile, suprema, indifferibile.

Giancarlo Pandini

Un poeta umano, vero e profondo, il cui verbo fiorisce amaro, non disperato, e stempera il pessimismo leopardiano nella dolcezza di un linguaggio personale, moderno, che scava anima e mente in una simbiosi perfetta che spazia oltre il bene e il male del vivere.

Lea Ferranti

Una poesia che continuamente trascorre dalla realtà al mito, della prima traendo la problematica esistenziale o la denuncia sociale, del secondo creando figurazioni a partire dal paesaggio marchigiano, con le ondulate colline e l’orizzonte del mare in cui l’anima del poeta ama smarrirsi. Il tutto in uno stile maturo, controllato nella modernità lessicale quanto personalissimo e accattivante.

Silvano Demarchi

Sono poesie manifesto. Sono affreschi con sprazzi di luce terrestre e celesti ambizioni. Sono composizioni elaborate con un continuo rovello di spiegazione, che nelle poesie brevi, nella sintesi, risulta snodarsi sul terreno del puro lirismo cosmico.

Giancarlo Montanari

Il lirismo di Pigliacampo è qualità ed esempio, forza e novità dell’animo che si contrappongono alla non risolta definitività del testo. La sua poesia si muove entro una tensione morale e stilistica, un continuo processo di dissoluzione e rinnovamento che culmina in forma di grido e tormento. Le ragioni di una crisi che lo trascende come individualità artistica si fanno evidenti nella sottomissione dei nessi sintattici tradizionali all’urgenza dell’autoconfessione biografica e morale.

Leonardo Mancino

La scrittura di Renato Pigliacampo, prima di essere letteratura, è vita: la passione che la anima non ha tempo né confini, il ricordo che risuona in ogni verso diventa memoria attuale, e il passato si fa prospettiva. Dalla roccia dell’indifferenza sbalza un volto di disadattato nella cultura contadina (almeno genuina) come nella società complessa, in cui la parola ambigua vela l’incapacità della politica e l’impotenza della scienza. Il poeta è un impenitente creatore di segni, immerso nel mistero di sé, teso a raccogliere la totalità nella parola frammento, affranto dentro al limite, ribelle all’esilio, alla prigione amara dell’incomunicazione, e perciò cresciuto uomo.

Gian Mario Maulo