LA SUPERBIA DEI SOMARI

di Renato Pigliacampo
Ho già  scritto  in alcuni libri e principalmente in  (Cfr Renato Pigliacampo, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, 2009)  che la lingua è potere. Ma non ho indicato con  quale modalità questo potere  possa  essere  esercitato. Infatti tutti gli individui per confrontare le proprie potenzialità intellettive (compresi taluni animali) mettono in gioco i codici che possono essere veicolati  nei codici visuomanuali  (i segni), grafici/pittorici, filmici e verbali. In questi codici noi individuiamo il medium (il messaggio).

Ora è risaputo che tutti i sordi che comunicano  -  in primis i docenti di LIS – utilizzando la lingua visuomanuale lo fanno su una struttura grammaticale propria     della LIS. Tuttavia per apprendere una grammatica tanto differente da quella  utilizzata dal canale sonoroacustico dello stimolo-risposta (cfr B. S. Skinner) è necessario seguire un percorso  temporaneo di evoluzione  che, nel sordo, inizia  sempre  dopo rispetto l’udente. Infatti è accertato che, il bambino udente, ha stimoli sensoriali uditivi già fra il 6° e il 7° mese di gestazione. Il bambino con problemi d’udito (affermiamo in  questo caso di sordità ereditaria o per altri accidenti) il processo di stimolo avverrà più tardi, ossia post nascita e sarà differenziato rispetto al coetaneo, ovvero uno stimolo  visivo.
Quanto sopra ci conduce a riflettere sulla genesi di produzione  dapprima della lingua e poi del linguaggio in un modus percettivo differente che va spiegato nel processo di apprendimento e di memorizzazione e, ovviamente, nell’utilizzo. Ne ho già accennato nelle ricerche e  studi: troppi sordi in possesso di limitate letture psicolinguistiche sono carenti di attenzioni sul libro di H. G. Furth, Pensiero senza linguaggio, Armando editore, 1971 (1^  edizione italiana!). Un libro ripubblicato più volte nell’edizione italiana ma sempre con limitata conoscenza  della psicologia del bambino sordo o ipoacusico nel suo intrinseco “farsi lingua”  (apprendere il codice) e  poi sviluppare il linguaggio  che è, appunto, un veicolo di scambi nella/della comunità  pregno di emozioni. Molti sordi docenti di LIS ripetono frasi fatte quali «la LIS è la mia lingua», «la LIS ha tutto ciò che ha la lingua verbale», «io sono LIS» e quanto altro portato in piazza o/e nelle aule scolastiche lasciando sbigottiti gli insegnanti curriculari.
In questo valzer di santa ignoranza ogni tanto appare sulla terza pagina di cultura dei giornali o delle riviste studi e interviste di fama quali  N.  Chomsky, di F. Grosjean, di Tullio De Mauro, di  W. Stokoe che ci tranquillizzano con altre frasi quali «la lingua dei segni è lingua!». Qualche  docente sordo di lingua dei segni, perlopiù con pochi esami accademici e studi approfonditi sulla teoria della lingua, sulle aree cerebrali che sopraintendono la produzione del codice (segnico e/o sonoroacustico) ripetono alla lettera le solite frasi fatte: «è la lingua dei sordi», oppure qualche udente pregno di pregiudizi e frettoloso annuncia frasi alla carlona quali:  «la LIS – nel nostro caso – blocca l’apprendimento verbale» o, peggio, «la LIS impedisce al sordo di strutturare la comunicazione scritta». Nessuno si chiede se la LIS è insegnata bene; se la lingua italiana ai sordi è insegnata male e/o perché.
Ci sono altre domande fondamentali: per esempio la strutturazione dei «codici» per veicolare la cognizione della specifica materia d’insegnamento. C’è un buon numero di  sordi frequentanti l’Università per conseguire la laurea, spesso fruisce del servizio di interpretariato visuomanuale, vale  a  dire  di codici visivi. Non sempre si può avere, come interprete di LIS, una  interprete laureata nella disciplina del corso di laurea dell’utente sordo, pertanto a volte - più che “segnare” codici appropriati che non sono in voga - l’impegno dell’interprete è solo optare  per la ripetizione  letterale della parola.
Io non sto a pontificare che l’interprete non sia all’altezza  di «tradurre» il contenuto di ciò che lo studente ha studiato sul testo  dell’esame. Vi ricordo che il libro o i libri su cui – a livello accademico – sono scritti per accedere all’apprendimento e di fatto preparare gli esami avvengono >(nel nostro caso) in lingua italiana nel linguaggio specifico della materia. Pertanto ciò induce alla elementare attenzione dell’utilizzo di un «codice» visuomanuale che veicoli i profondi contenuti del testo.  Questa sortita sulla  codificazione  di “segni specifici” che, ovviamente, deve  essere ben conosciuta  fra traduttore  e l’utente vale per tutte le materie insegnate! Ecco che s’apre un dibattito che  ci conduce ad un percorso d’insegnamento della lingua dei segni che implica intrinsecamente diramazioni settoriali nella materia  di Lingua dei Segni nella  sua  specificità, ben  individuata da William Stokoe (cfr Sign Language Structure, 1960).
In conclusione, senza accedere in una critica né alienante né umiliante verso i docenti sordi e/o udenti che, con buona volontà,  s’impegnano a diffondere la lingua dei segni italiana abbiano l’umiltà di apprendere tutti i fondamenti  cerebrali di attivazione  della «lingua»: una volta compreso a  fondo quanto sia complessa allora si lavorerà sui  presupposti di evoluzione caratterizzanti la lingua visuomanuale, godendone tutta la doviziosità e che fa dire al genio di Leonardo da Vinci i«sordomuti sono maestri dei movimenti e intendono da lontano di quel che uno parla, quando egli accomoda i modi delle mani con le parole».
Renato Pigliacampo

PER APPROFONDIRE:

WordPress database error: [Table 'Sql89454_1.wp_comments' doesn't exist]
SELECT * FROM wp_comments WHERE comment_post_ID = '487' AND comment_approved = '1' ORDER BY comment_date

Leave a Reply