ASL, American Sign Language

Ho scritto che i sordi statunitensi sono riusciti a dimostrare, alla comunità di maggioranza, che la lingua utilizzata, l’ASL (American Sign Language), caratterizza la loro identità linguistica. Non c’è nulla di strano in questo. Infatti è dimostrato (v. William Stokoe) che è una lingua con tutte le potenzialità - di più - di una lingua. Dunque ciascuno di noi è libero - in un Paese civile e democratico - di utilizzare la lingua che gli conviene e/o accettata dall’interlocutore. Tuttavia è bene soppesare le parole per non cadere nella demagogia e nel pressappochismo. Come succede spesso a chi non ama sacrificarsi nella ricerca o comparare gli studi scientifici, o chi si esercita sull’esibizionismo (…). C’è più di un sordo italiano che gesticola vivacemente «LIS! LIS! LIS!», o «la mia identità linguistica», senza aver mai aperto un libro sul linguaggio, studiato le regole della lingua di maggioranza, la grammatica. Ripetono i segni alla carlona; si interpretano o veramente «comunicano»? E’ noto che se dico «compagno», letteralmente è riferito a «cum panis», mangiare lo sesso pane, sperimentare la stessa condizione esistenziale. Comunicare vuol dire mettere insieme gli stessi codici (o utilizzarli) seguendo delle regole, che dobbiamo conoscere perché la comunicazione sia efficace. Possiamo comunicare anche «per sentito dire»: il senso dell’udito, ascoltando, ci permette di appropriarci del sistema più idoneo per comunicare con la “comunità di appartenenza”. Il bambino udente non studia la grammatica, ode e si esprime in modo più idoneo per farsi capire dagli individui. Utilizza i segni verbali (le parole) adeguate al proprio sviluppo cognitivo. Il bambino sordo non è stimolato a segnare, ripeto a iosa, perché i genitori gli impongono i codici verbali. Ebbene sappiamo che nessun sordo di media cultura e intelligenza respinge la lingua verbale, ma deve essere proposta secondo un programma appropriato, di facile accesso nei processi percettivi psicocognitivi. Abbiamo documentato (v. R. Pigliacampo, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, Roma 2007), che il bambino sordo deve essere esposto alla comunicazione segnica, vale a dire al «bagno segnico». Come J. Piaget sollecitava, per il bambino udente, il «bagno sonoro».  Sembra facile imparare a parlare per il bambino sordo o con problemi d’ascolto, ma la questione si complica quando, i familiari, non hanno validi motivi per affrontare la demutizzazione che, nel bambino udente, è solo un aprirsi alla parola della comunità di maggioranza, uscire dal bozzolo della mutezza per iniziare a produrre la parola per esprimere emozioni e idee. Il bambino udente non inizia lo sviluppo linguistico e psicologico dal nulla. Non è tabula rasa. Il sistema neurale delle aree cerebrali deputate alle specifiche funzioni, già prima dalla nascita, ha ricevuto stimoli sonoroverbali dall’esterno. Il bambino riconosce la voce della madre, e discrimina suoni o rumori. Dopo la nascita inizia l’iter dello sviluppo del linguaggio col supporto della tradizione linguistica e culturale ambientale. I bambini durante la crescita hanno l’opportunità di sperimentare ciò che ha scritto la generazione precedente nella lingua della società di appartenenza. Ogni nuova generazione può conoscere la generazione precedente leggendo «i segni» che la stessa ha lasciato attraverso la scritturasia o direttamente a voce. Le favole raccontate al babbo dalla nonna possono rivivere. oggi. nel racconto della mamma al figlio. Vero che mutano i processi psicologici, talvolta anche l’interpretazione per cambiamento di cultura, ma i «segni» restano. Per questa mancanza, taluni psicologi, ci ricordano che i segni visuomanuali sono sfuggenti, aleatori perché (almeno sino ad oggi) non hanno un riscontro scritto: il tutto è fondato sulla visività, è scrivere nell’aria, poi il segno sparisce(…). E’ bene consolarci che se studiamo la motilità dei sordi, il loro ideare il segno, i procedimenti dei parametri, cioè la grammatica della LdS ci avvedremo che il «segno» diviene (è) fondamentale per relazionare con gli altri, anche con chi non sa segnare. Perché crea la base della lingua verbale, aprendo una finestra sulla conoscenza semantica di tutte le lingue. Non è un caso che mi sia stato meno difficile studiare il latino dopo aver appreso la lingua dei segni. E così la lingua scritta e parlata della mia Patria. Il linguista Tullio De Mauro, già ministro della P.I., ha sempre sostenuto che la LdS apre nuove possibilità di conoscenza e interpretazione al bambino udente. Infatti troppi udenti, nel parlare, riempionoi i vuoti della narrazione… con le parole, parole vuote, kofos. Dobbiamo, invece, far sì che le parole superflue siano rivisitate col segno vuomanuale per verificarne il contenuto: e riconsiderate nella globalità del significato si avrà una migliore interrelazione. A questo punto il problema non è più parlare o no con la parola verbale; il principio è che la stessa sia analizzata nel segno visuomanuale per migliorare la comunicazione.

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