Il voto: da «Trota» a…

La gente dice: «Tutti i politici sono ladri e imbroglioni!». E’ stufa. Non crede più alla politica. Non la sopporta. Ebbene, se mettiamo da parte la politica del voto soggettivo, ci sono due alternative: l’anarchia e la dittatura.

La prima si riferisce alla mancanza di governo, cioè un popolo che non ha più autorità per essere arbitro tra gli antagonisti politici. Un esempio esplicativo: Rosso, Bianco, Verde eccetera. Ma gli antagonisti non sono solo tra i partiti; ci sono antagonisti economici e sociali. Si crea, di fatto, uno Stato di confusione.

La seconda si riferisce al Governo assoluto, che può essere monocratico o collegiale. Quando è assoluto governa/comanda una sola pesona. Si pensi al Re Sole che urla: «Lo Stato sono io!» Ma la dittatura, nel corso della storia, si è appoggiata ad un Gruppo o comunità. Ecco che abbiamo la «dittatura del proletariato», vale a dire degli operai e dei contadini. La definizione compare con Marx. Significa che le classi lavoratrici degli operai e dei contadini si arrogano il diritto di reggere lo Stato, privando dalla direzione le vecchie classi sfruttatrici: la borghesia e la nobiltà. La dittatura del proletariato fu forte dal 1917 (v. Lenin) e negli anni susseguenti nelle Repubbliche russe.

Sono flash indicativi per farsi un’idea. Oggi non soggiaciamo a dittatura ma ad un intricato governo «costruito» a tavolino (v. tecnici) a seconda delle momentanee necessità socioeconomiche. Sono governi di emergenza.

E’ un Governo democratico? Un popolo, per essere libero, è artefice di scelta di persone che vuole inviare a governare. Si possono fare parecchi esempi di questa nostra comunità plurale. I leader dei partiti moderni sono chiamati a scegliere, con intelligenza ed equilibrio etico, i rappresentanti capaci. Spesso vigilano poco su questo, o sono distratti, oppure - per i contributi statali che il partito riceve - distolgono i fondi e/o si «sporcano le mani». La democrazia, vano ricordarlo, significa governo del popolo e, alla fine, finisce (quasi) sempre per  divenire «governo di parte», di interessi di una comunità ristretta o di un gruppo parentale/amicale al potere, talvolta di affaristi e/o imbroglioni.

Ecco sortire, dalla tombola delle elezioni, politiche e amministrative locali un… Trota (soprannome del figlio di Bossi, ex-segretario del Carroccio), di una Menniti (igienista di Berlusconi imposta nel Consiglio della Lombardia) e tanti altri eletti dappoco che conosciamo dalla cronaca di ogni giorno, per il loro malaffare amministrativo nel panorama politico del notro Paese.

Allora che fare? A mio parere bisogna votare «diverso». Che vuol dire? Dare opportunità a candidati che, sino ad oggi, sono stati esclusi o non sufficientemente considerati. Vero che ci sono partiti che li presentano in Lista, ma essi stessi, ne hanno perplessità perché ne temono il diverso modo di far politica, col timore di non poterli gestire. La disabilità, presente in certi candidati - per taluni segretari di partito - è considerata trasgressione, con difficoltà di conciliare la comunità elettrice normale e la ristretta comunità dei disabili che necessita bisogni speciali. Tutti i Partiti temono una rivoluzione del nuovo che ha genesi proprio da elementi equilibrati che valutano la propria «diversità» come chances in più per migliorare la comunità per tutti.

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